PIETRE D'INCIAMPO
 
Campana Camilla
di anni 76
 

Operaia, nata a il 28 novembre 1916 a Clusone (BG). di professione operaia presso il calzificio Giudice di Cilavegna. Il 3 marzo 1944 viene arrestata per aver preso parte ad uno sciopero insieme alle colleghe Cirini Luigina, Giannini Clotilde ed al collega Maccaferri Giovanni. Rinchiusa dapprima nel Castello di Vigevano,  è poi incarcerata a Milano, nel penitenziario di San Vittore, infine a Bergamo. Deportata in Germania riuscirà fortunatamente a sopravvivere e tornare a casa. (Fonte: ANED Biografie dei Deportati Pavesi)

 

Si riporta qui di seguito una testimonianza di Camilla Campana curata da Donata Brianta e tratta da: I DEPORTATI PAVESI NEI LAGER NAZISTI - Collana di monografie degli Annali di storia pavese n.1 (Amministrazione provinciale di Pavia)

Sono stata portata via nel marzo del 1944. Ero a casa quel giorno; sono venute a prendermi le SS, cinque o sei, tra cui I interprete e il tenente; c era pure il messo comunale di Cilavegna che le accompagnava agli indirizzi dei ricercati. Mi hanno chiesto il nome, mi hanno detto che ero in arresto; mi hanno fatto salire in macchina per portarmi a Gravellona, dove dovevano prendere la Clotilde, la Giannini. Lì il maresciallo ci ha avvicinate e ci ha detto: - Avete visto? Adesso i capricci di testa li pagherete col sangue -. Da Gravellona siamo arrivate direttamente al castello di Vigevano, dove fucilavano la gente. Per intervento di Giudice ci hanno trasferite alle carceri di Vigevano e, all indomani, a Milano, all Hotel Regina in viale Brescia, sempre accompagnate da tre carabinieri e due SS con in mano il mitra. A San Vittore ci hanno trattenute con il terrore di essere interrogate, perché lì la notte erano urla. Un internato politico ci avvisò che saremmo state portate in Germania. Alla caserma di Bergamo vennero a trovarci da Cilavegna, parlavamo dalla finestra. Nello stesso giorno, prima di me, è stato arrestato Omodeo Zorini insieme a Maccaferri. È stato portato a Fossoli, ma siccome aveva il morbo di Buerger, è stato prima operato e poi rilasciato. Sono partita per la Germania dopo venti giorni di carcere a Vigevano, San Vittore e Bergamo, il 27 marzo, insieme a Luigina Cirini, Clotilde Giannini e altre operaie arrestate in alta Italia negli scioperi di febbraio-marzo.

Siamo stati caricati sui carri bestiame - ce ne erano diversi lì a Bergamo, uomini e donne - e siamo arrivati a Mauthausen. Con noi c era anche la signora Capettini, quella che le hanno ucciso il marito a Milano; il marito lo hanno fucilato e lei doveva partire con noi, solo che dovevano interrogarla e Ia hanno fermata ancora lì e noi siamo partite. Era il primo trasporto di donne per Mauthausen; eravamo una quarantina, anche di più. Ce n erano da Magenta, Milano, Como, Lecco, poi c era una signora francese, ce n erano diverse... e noi di Cilavegna. A Mauthausen abbiamo camminato tutta la notte su per la montagna che era come un giro di lumaca; si vedevano le fabbriche e il campo di concentramento.

Quando siamo arrivati, gli uomini li hanno mandati nel campo, noi donne ci hanno chiuse in piccole celle di sicurezza, quelle celle strette; in una cella eravamo dentro in cinque o sei! Non vedevamo nessuno, eravamo sempre chiuse notte e giorno. Il campo non sapevamo neanche come era.C era uno spagnolo, un internato civile che ci portava da mangiare.Dopo un pò di giorni ci hanno portate davanti al comando tedesco:c erano là due ufficiali, che capivano bene come si parlava e ci hanno preso giù nome e cognome.Poi ci hanno portate aVienna, nelle prigioni che si vedeva la cattedrale fuori e c era un finimondo, un caos. A Vienna ci hanno portato via tutte le nostre valige e lì abbiamo cominciato a sentire i primi sintomi della fame, perché non ci davano quasi più niente da mangiare. Dopo due o tre giorni siamo finite sul treno che ci ha portate ad  Auschwitz. Il treno entrava proprio dentro il campo di concentramento. I carri bestiame erano sigillati e non ci lasciavano uscire.Si faceva tutto dentro: quaranta, cinquanta persone in un carro bestiame. Ricordo che ci siamo fermati una notte intera sotto i bombardamenti. Il viaggio sarà durato cinque o sei giorni, perché siamo venute giù che non ci reggevamo più in piedi. Quando siamo arrivate abbiamo trovato là una signorina di Como e di Lecco, due o tre italiane e ci hanno detto:Che cosa avete fatto?  E noi abbiamo detto:Ci hanno mandate in campo di concentramento:è allora che ci hanno detto:Qui il clima è terribile! Ma nessuno pensava più a niente, era un ignoto, nessuno capiva niente di quello che i tedeschi dicevano;non eravamo più nelle nostre facoltà, forse eravamo già mezze sceme...non pensavamo più a niente, solo a mangiare e basta,si moriva di fame, si sentivano proprio gli intestini che si stringevano; già a Vienna abbiamo incominciato la fame e da Vienna fino ad Auschwitz non ci hanno dato quasi niente:anche le mestruazioni erano scomparse.

Quando siamo arrivate ad Auschwitz siamo scese dal treno e Iei, la comandante del campo, è venuta là e ci ha chiesto cosa eravamo; noi abbiamo detto che eravamo Italiane...è quando lei ci ha detto: -Meritereste di fare la fine che fanno gli ebrei! - proprio lei, la comandante, la SS. Allora siamo entrate dentro in quei famosi bagni, che erano docce per modo di dire, perché c erano tutti i buchini per il gas; allora ci hanno spogliate di tutti i nostri panni, ci hanno messe sotto un getto di  acqua gelata e poi siamo andate dove c era un mucchio di vestiti e abbiamo messo su dei panni luridi, tutti sporchi. Ci hanno dato un paio di mutandone lunghe, maglia niente, quel vestito lì e una giacca da mettere sopra.  Scarpe...io sono riuscita ad avere gli zoccoli olandesi, solo che ad Auschwitz il terreno è di creta, non è terreno bello,allora si è rotto uno zoccolo e camminavo con uno sì e con uno no; ho trovato un paio di scarpe da uomo e ho messo su quelle r...e come sono arrivata ad Auschwitz con quel vestito l ho portato finché è venuta la liberazione. Non ci hanno mai cambiate. Una volta ogni tanto, quando proprio eravamo piene di pidocchi, quei fastidiosi pidocchi bianchi, allora ci facevano entrare nelle camere e mettevano i nostri panni a gassare. Non avevamo niente, nessuno era in possesso di un cucchiaio o di una forchetta; anche quando si mangiava ci davano quelle ciotole di terra tutte rotte e si mangiava così, come le bestie. Quando è stato ottobre, faceva un freddo terribile; allora abbiamo trovato della carta -non so dove l abbiamo trovata, forse erano le russe che l avevano trovata-e l abbiamo messa sotto i vestiti quando si sono accorti che eravamo coperte di carta, è venuta la comandante,ci ha spogliate tutte e ci ha lasciate là due ore...nude... noi donne tutte là a gelare dal freddo:ci mettevamo schiena a schiena per scaldarci un pochino! Auschwitz era un campo di concentramento estesissimo. Si entrava nel campo tramite la ferrovia, destra  erano gli uomini sinistra le donne bambini. In fondo, tutto attorno, i forni crematori. Erano tutte baracche di pietra costruite dai soldati, dai polacchi e dai russi. delle casupole tutte brutte,antiche. Dentro c erano come dei loculi, uniti fra di loro: su di una stessa stuoia dormivamo in cinque o sei. 

Quando ci si doveva voltare, dovevamo darci il comando girare tutte insieme. Quando si spegnevano le luci saltavano fuori le cimici: mi ricordo che una mattina mi sono svegliata e avevo una cimice nelI orecchio. Nonostante si mettesse la carta questa cimice era entrata dentro: mi sembrava di diventare matta. Sono andata fuori dalla comandante e le ho detto che mi faceva male l orecchio: le mie compagne mi dicevano: - non andare in infermeria, guarda che non esci più di lì, guarda che lì ammazzano tutti...! -.Ma io non ne potevo più e allora sono andata  dentro: c era una dottoressa ebrea, prigioniera anche lei, che è riuscita a togliermela. Sono stata lì qualche giorno.     

Acqua non ce n era, anche il gabinetto era unico: c era unblock con dentro questa famosa buca, con tutti i buchi intorno che si usavano in cinquanta, sessanta..... Morivano tutti di dissenteria e scabbia. Alla mattina le prigioniere andavano a prendere un poco di acqua che chiamavano tè, ma sapeva di erba. A mezzogiorno arrivavano con dei contenitori con dentro la brodaglia più lurida, orzo nero...Si mangiava perché si moriva di fame.E poi ci davano una fetta di pane con  una stecca di margarina e una fettina di quel salame che facevano loro che c era dentro la crusca. Per fortuna non mi sono mai ammalata, però sono andata via che ero 63/64 chili e sono tornata che sarò stata 24. Mi sono ammalata dopo la liberazione in mano degli americani che mi è salita la febbre a 40. La Giannini è morta dopo la liberazione: ha voluto mangiare quelle patate raccolte per terra e poi fatte cuocere, ma l intestino non più abituato a lavorare è scoppiato. Io, perfortuna, ho rimesso tutto.

Alla mattina la sveglia era alle quattro:dalle quattro alle sei si stava ad aspettare la comandante per l appello, in piedi, aIl aperto anche con la pioggia. Allora lei ci  metteva in fila e ci divideva. Certe volte ci davano il piccone e andavamo a  rompere i sassi, Auschwitz era stata bombardata...Unavolta, ricordo, mi hanno  mandata a zappare il prezzemolo; io il prezzemolo non lo vedevo e, invece di toglierlo, devo averlo calpestato; dopo due minuti è arrivato il comandante e con quel nerbo... credevo mi avesse aperto latesta in due,ma io cosa ne sapevo del prezzemolo! Altre volte, invece, se si poteva scappare andavamo a pulire i gabinetti. Le più scaltre erano le russe, riuscivano sempre a svignarseła, io le vedevo e le seguivo. La Giannini, invece, ne ha prese tante, ne ha prese tante...! Perchè alI  appello andava dalla comandante e continuava a gridare: - Kanker,kanher! - come dire: - Sono ammalata! - e quella...giù botte! Noi la tenevamo, con il rischio di prenderle anche noi. ma quella scappava!

Tutti i giorni arrivavano cinque o sei trasporti di ebrei dalla Ungheria, dalla Bulgaria ecc.e facevano la selezione. Allora quando arrivavano quei treni suonava l allarme e noi dovevamo ritirarci, ma chi si ritirava?...Stavamo là dai buchi a guardare! Alla fine, eravamo già al mese di ottobre, arrivavano anche dieci trasporti al giorno, ma che trasporti! I camini fumavano in continuazione.Tutti lo  sapevano che c erano le camere a gas.

Proprio vicino a noi c era un capannone di bambini e con loro una signora di Trieste che parlava bene tutte le lingue, ebrea. Una mattina ci siamo alzate e non li  abbiamo più visti: erano più di duemila. Quella volta ci siamo messe a piangere. Con noi c era una ballerina ungherese che è stata presa qui alla Scala di Milano e, quando eravamo là che giravamo per il campo ed è arrivato il trasporto, ha visto i suoi genitori da Iontano e poi non li ha più visti. C erano delle signore di Corfù, delle ebree, venivano là con noi e dicevano:- Siamo arrivati in otto, non vedo più nessuno -.Anche loro lo sapevano, tutti lo sapevano. Loro avevano il numero sul braccio, la stella ebraica e due quadrettini; verso la fine non avevano più divise e facevano delle grosse croci  bianche dietro, sulla schiena. Quando eravamo libere parlavamo benissimo con le ebree; ce ne erano tante italiane da Cremona, da Crema, da Roma, da Milano. Io, ad esempio, come ho detto, sono stata curata da una dottoressa ebrea... la vidi operare una signora di Trieste di un tumore con un coltello da cucina...e l ha guarita! Ognuna cercava di aiutarsi con l aItra. Anche alla fine, quando  ci hanno portate fuori dal campo di concentramento per eliminarci e non far vedere cosa c era ai russi che arrivavano, io avevo una signora di Milano e una di Lecco, una la vevo appesa da una parte, l altra dall altra, forse la più forte ero io. Avevo un sacchettino di patate appeso al braccio che non volevo lasciar andare. La signora di Milano in continuazione piegava le gambe e andava per terra: io le dicevo di farsi forza, perché vedevo che chi si abbandonava sul ciglio della strada arrivavano le SS con il silenziatore egli sparavano. Allora sono riuscita a salvarla, le ho tenute  tutte e due: e quella lì di Lecco, Agnese, che adesso è morta, mi ricordo che un giorno che andavamo in campagna aveva preso la dissenteria e io le dissi: - fattela addosso! - Lei è uscita per andare al gabinetto, ma come è uscita dalla fila i tedeschi hanno lasciato andare i cani che le hanno mangiato il polpaccio...e allora là a stracciare la sottoveste per fasciarla!

Eravamo sconsolate, convinte di non tornare più acasa. Eravamo come delle bambine, si piangeva per un pezzettino di patata che una aveva trovato per terra. Sono state molto più forti le donne  che non gli uomini. Gli uomini si lasciavano più abbattere. Le donne no, si arrangiavano di più: andavamo in campagna a cogliere il radicchio che poi  facevamo bollire. Gli uomini hanno sofferto più di noi; la donna era più forte.

La notte si piangeva in continuazione. Chi sognava un piatto di risotto, chi sognava la polenta e al mattino quando ci si svegliava era un tormento. Le zuppe erano immangiabil iquando poi ci mettevano dentro l erba del finocchio selvatico, pur avendo fame, si doveva rinunciare. Le russe erano le sole che reagivano. scappavano anche dai campi. Dopo la liberazione noi eravamo sfinite.qualcuna di loro invece ha preso in mano il mitra ed è andata nelle case dei tedeschi a farli fuori. Anche le francesi cercavano di reagire: una sera si erano messe a cantare la  Marsigliese, una comandante ha fatto rapporto e ci hanno lasciate due giorni senza cibo. Un altra francese, per punizione perchè si era ribellata è stata messa in cella e non ne è venuta più fuori. Io non ho mai avuto la speranza di tornare a casa. Ho pianto quando mi hanno portato via da Cilavegna, ho pianto a Vigevano, ho pianto a Milano all Hotel Regina e in viale Brescia, ho pianto a San Vittore, poi non mi hanno più visto piangere una lacrima. Mai un ricordo ai familiari che avevo a casa, niente...Non ricordavo più  nulla, non avevo nessuna nostalgia, niente...il ricordo forse ci portava alla tomba. Quella signora di PonteTresa del nostro blocco è per il ricordo del figlio che ha incominciato a soffrire, a soffrire e ci ha lasciato la pelle. Se si pensava a casa era  finita. Egoisticamente pensavamo solo a noi stesse. Tutti vivevano così e chi è sopravvissuto è perché ha abbandonato ogni pensiero. Tutte le idee della famiglia, della casa. La fede non è mai esistita.

C erano connoianche le suore,tanto è vero chela madre direttrice di San Vittore l han portata anche lei in campo di concentramento. ma non si distinguevano le laiche dalle religiose. Vivevanolàconnoi, facevano la vita che facevamo noi, non c era nessuno che istigava a dir delle preghiere...,neanche gli ebrei. Erano tutti disperati. Avevamo tutti paura, eravamo terrorizzati. Ouando eravamo sole nella baracca, dormivamo perché eravamo sfinite; no, non sifaceva proprio niente, non avevamo più nessuna  volontà.C era solo la fame: se uno dovesse riprovare una simile esperienza, credo che preferirebbe fars iammazzare. Credo che in tutti i campi, più o meno, sia stato lo stesso. Siamo passate anche per Ravensbruck, poi a Lipsia...erano tutti uguali: maltrattamenti, botte e poco cibo. Più il tempo passava e più la situazione peggiorava. A Ravensbruck è stato meno duro. Nessuno lavorava a Ravensbruck, siamo state per una ventina di giorni chiuse in campo di concentramento. Il cibo era ugualmente cattivo, i pidocchi camminavano in continuazione, solo che non avevano niente da mangiare ed erano bianchi, bianchi, pieni di acqua. A Lipsia, invece, lavoravamo in una industria meccanica: facevamo proiettili, ma ormai eravamo alla fine; non c era più niente, né ferro né altro. Entravamo alle sei della sera, uscivano alle sei del mattino, la notte. Di giorno entravamo alle sei del mattino e uscivamo alle sei della sera:due turni. Ma non lavoravamo più ormai, venivano fuori proiettili tutti rigati, tutti rotti. Non c era neanche più nulla da sabotare, i tedeschi erano sicuri di perdere la guerra. In ultimono non sorvegliavano neanche più; i tedeschi erano tutti sotto le armi, c erano solo gli austriaci. L orario era pesante. Avevamo paura quando venivano i bombardamenti; la maggior parte del tempo la passavamo a ripararci dalle bombe. Abbiamo incominciato a capire che eravamo alla fine quando ci hanno portato fuori dal campo di concentramento in campagna:allora c erano con noi delle  slovene e hanno parlato; ma allora si sentivamo già i cannoni. Li abbiamo sentiti già in Polonia. Poi tra Lipsia e Dresda stavamo attraversando un ponte; le ultime persone sono andate dentro nel fiume perché i tedeschi lo avevano fatto saltare. Ouando abbiamo visto i russi c erano con noi le slovene -le slovene capiscono bene il russo, tra loro si capiscono -,ci hanno detto - Ecco, questi sono i russi che vengono a liberarci! -Ma già si vedevano i tedeschi morti per le strade, uccisi. Vedevamo i tedeschi che  scappavano con i camion. con le macchine, a piedi. Nelle case c erano fuori le bandiere bianche, era la resa. Dopo la liberazione noi eravamo sfinite. La marcia di eliminazione è durata due o tre giorni, c erano italiani, sloveni, francesi, polacchi. La notte dormivamo in mezzo ai campi, nellestrade, al pari dei tedeschi che fuggivano. A lnnsbruck, dove ci hanno portale, noi italiane e le francesi, dopo la liberazione, ci hanno tenuto in quarantena. Ci davano latte, vitamine e tutti i giorni  ci visitavano. Il ritorno alla vita civile mi ha fatto una impressione terribile. Mi ricordo che non riuscivo neanche più a dormire nel letto,dormivo per terra. È stato uno shock terribile, ero completamente sfiduciata. Ancora adesso quando sogno di essere in campo di concentramento non riesco pìù a dormire. Mi alzo e stò sveglia tutta la notte, ancora adesso, dopo tanti anni. Ricordo quando sono stata circondata dai tedeschi a casa mia, poi a Gravellona quando sono andati a prendere la Clotilde, e poi Vigevano. Le vedo tutte quelle facce, è come un cinema che non si può dimenticare. Cerco di parlarne il meno possibile. Ouando ho visto - Olocausto -non mi sono impressionata …e si che non volevano farmelo vedere. Non era neanche la terza parte di quello cheè stato!

Quello di Levi sì che era veritiero, che è stato veramente laverità. Gli ebrei ne hanno passate troppe, su di loro i tedeschi si sono scagliati con un odio terribile! Non posso sentirli criticare. Unica loro colpa è che sono più capaci dì noi nel fare gli affari...ed erano anche più colti di noi. Non ho più fiducia negli uomini. Quello che mi è pesato di più è stato ritornarea casa, sapere che per colpa di tante persone sono stata deportata e poi sentirmi ignorata. Questo mi ha tolto ogni fiducia negli italiani.

 

 
 
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RICORDATO NEI SEGUENTI LUOGHI:
 
Cilavegna - Cappella monumento
Cappella monumento posta all'interno del cimitero di Cilavegna (PV).  ...
 
Coordinate GPS del Luogo del Ricordo:
+45.315516, +08.744183
+45°18.931’, +08°44.651’
+45°18’55.86”, +08°44’39.06"
 
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Cilavegna - Corso Roma 38 - Camilla Campana
Pietra di inciampo posata il 03 marzo 2024 davanti all ingresso dove abita ora il figlio in corso Roma 38 a Cilavegna (PV).                 ...
 
Coordinate GPS del Luogo del Ricordo:
+45.315516, +08.744183
+45°18.931’, +08°44.651’
+45°18’55.86, +8°44’39.06
 
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Elenco Caduti